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giovedì 28 giugno 2012

Pretty in pink / Isn't she?



2012: una nota casa farmaceutica pensa bene di pubblicizzare le proprie compresse contro il mal di testa tormentandoci con un’inglesina dolorante di nome “Molly”. Ed è probabilmente per questo sacrilegio, che ci meritiamo le gufate dei Maya.
1986: Molly Ringwald e gli Psychedelic Furs inaugurano il next level della chick flick. Dopo la visione e l’ascolto di “Pretty in pink”, basta:  les jeux sont faits, potete anche chiudere con il genere, tanto ne avete conosciuto il non plus ultra.  Sempre che consideriate ineguagliabile lo stile, la musica e l’attitudine degli anni ‘80 – ma questo, bontà di Dio, lo darò per scontato.
Trama? Trama: Andie, una ragazza che ai giorni nostri sarebbe definita “un’alternativa”, si innamora – ricambiata – di Blane, quello che sempre ai giorni nostri verrebbe definito “un fighetto”. Ma siamo negli anni ’80, e allora le etichette parlavano papale papale; per cui: Andie è una ragazza povera che si innamora di Blane, un ragazzo ricco. Naturalmente la società, incarnata dai rispettivi amici, non approva l’unione. E così i due protagonisti vedranno il loro amore messo a dura prova e bla bla bla: non è questo il punto. I punti sono tre:
    1)  vestiti;
    2)  colonna sonora;
    3)  James Spader.

“Pretty in pink”, stringi stringi, è pioniere di quel genere che da qui in poi chiameremo “Style Porn” – quel genere portato al sublime da “Il diavolo veste Prada”, per  intenderci. Per tutto il film ammireremo Andie che, estrosa e brava con ago e filo, realizza outfit da squirting – tranne poi riservarci una caduta di stile totale nel momento in cui si presenta al Ballo. Ma siamo pur sempre negli anni ’80, quindi è tutto grasso che cola.
Per cui, mentre sullo schermo succedono varie cose, noi siamo impegnate a guardare i vestiti. Ma non così distratte da non notare la bellissima soundtrack. Uno schema che potremmo riassumere così:  Psychedelic Furs – orecchini rosa – pizzo rosa - Psychedelic Furs – dialogo – altro dialogo - Psychedelic Furs – abitino rosa – gilet a fiori (rosa) - Psychedelic Furs – Ballo di fine anno.

Il tutto, ovviamente, punteggiato dal commento “Ma…cazzo…pigliati Spader!”. Davvero, nessuna donna ha mai capito perché diamine Andie respinga le sue avances, preferendogli l’insulso Blane. Io guardo questo film una volta al mese più o meno da dieci anni, e questo quesito mi tormenta ancora. Per cui ora fate una bella cosa: godetevi questi 96 minuti di purissimo chick flick. E poi illuminatemi voi, se ci riuscite.

mercoledì 27 giugno 2012

Oggi sono solo tears



Non mi ricordo la prima volta che mi capitò sottomano “Harry ti presento Sally”, probabilmente era in uno dei vari passaggi tv. Ricordo però quando l’Espresso e Panorama buttavano fuori vhs come se non ci fosse un domani, e tra questi c’era quello che è probabilmente l’unico film da femmine che gli uomini non si vergognano di ammettere di apprezzare. Io quella cassetta non lo so quante volte l’ho vista. La scena del diner con una delle battute più epiche mai scritte, o quando guardano i film insieme per telefono – che io lo so che da qualche parte c’è quello che mi chiamerà per vedere insieme “Via col vento”, e a quel punto ciao, raccoglietemi col cucchiaino – o quando lui la chiama cantandole, per l’appunto, “chiama”, perché vuole far pace, e sa che la cosa più difficile per una donna che abbia passato l’età dello sviluppo non è imparare a usare gli assorbenti interni, ma contattare l’uomo che le piace per prima.
Non mi metterò a fare l’elenco dei film che ha scritto e/o girato, perché in questo blog si parla di chick flick, e secondo voi le opere di quella che è la mamma del genere non avranno il loro bel post?
Io qui voglio ringraziarla. Perché ogni volta che lei ha fatto dire e fare ai suoi personaggi maschili quello che noi donne sogniamo da una vita di sentire e ricevere, lei ci ha fatto alzare l’asticella dei rapporti. Ora, non fraintendetemi, non è che se una è picchiata dal marito e vede un film della Ephron, ha un improvviso rigurgito di amor proprio e va a denunciare il bastardo, perché lì ci sono di mezzo altri fattori, sociali, privati, culturali.
Ma se è vero che siamo ciò che vediamo, allora lei ci ha mostrato che potevamo, e dovevamo, essere più felici. Ha fatto quello che fanno le amiche, ossia farci capire, anche a suon di insulti, che meritiamo di meglio, che si tratti di un uomo, un lavoro, un secondo al ristorante. E lo ha fatto senza incontrarci nemmeno una volta nella vita.
Grazie Nora. Se esistesse un siero capace di creare degli zombie che mantengono le capacità intellettive ed emotive, saresti la prima a cui lo inietterei.

Mi ano es tu bocca



"Human centipede": forse il film dal titolo più auto-esplicativo di sempre. Escludendo capolavori del calibro di "Snakes on a plane", ovviamente.
Non so voi, ma io ho affrontato la visione di questa pellicola con un unico, enorme interrogativo: "Ma che, lo farà davvero?". No, non avevo visto il trailer - a sua volta, forse il trailer più spoiler di sempre.
Spoiler che qui vi agevolo per comodità: si, si, c'è uno scienziato pazzo che crea proprio un millepiedi umano. Oddio, a dire il vero la sua creatura di piedi ne ha solo sei, essendo nata dall'unione per via chirurgica di tre poveri disgraziati. Ad ogni modo, l'audace progetto fa comunque la sua disgustosa figura.
Ora che il fulcro del film l'avete appurato, vediamo un po' come ci si arriva.
Se mi dessero un euro per ogni horror iniziato con una gomma forata, ecco, ora sarei una punkabbestia ricca. La gomma in questione stavolta è quella di due turiste americane in vacanza in Germania - le classiche polle statunitensi che gli europei guardano con superiorità, e a volte decidono di trasformare in trittico umano. Rimaste bloccate in mezzo al nulla, le due sprovvedute decidono di inoltrarsi in un bosco per chiedere aiuto laggiù, dove c'è quella casa illuminata. Suvvia: all'interno dell'unica casa costruita in un bosco dimenticato da Dio ci sarà di sicuro una personcina a modo.
Ah, indovinate: nel frattempo s'è messo a piovere!
Per farla breve, le ragazze bussano alla porta di un ex medico uscito completamente di senno. Entrano. E non usciranno più.
Naturalmente, visto che siamo in presenza di un film geniale - non l'avevo ancora detto? - questo decalogo di luoghi comuni viene squadernato in piena consapevolezza. È una sorta di occhiolino che Tom Six rivolge allo spettatore, una didascalia che recita "Lo so che state pensando solo "Daje col bisturi!". Tranquilli: mò sbrigo alla cazzo di cane 'sto incipit e iniziamo davvero". Tom Six è olandese, ma nella mia testa parla romano.
E infatti, da qui in poi accade che: le ragazze vengono sedate; al posto della cantina, l'ex medico mangiakartoffen ha una stanza operatoria e le due si risvegliano là; scoprono un terzo malcapitato, imprigionato a un lettino come loro. E il folle mette subito in chiaro le cose, con grande onestà: "Oh, guardate che il mio sogno nel cassetto è sempre stato quello di unire gli esseri umani con un bel taglia&cuci. Qui ci siete voi tre, quindi a voi tre tocca. Come potete vedere dal progetto alle mie spalle, procederò con un'unione bocca-ano. Ma tranquilli, mica vi faccio morire di fame: il primo della fila mangia e poi le sue feci sfameranno via via voialtri. Contenti?".
Pensate ci sia ironia nelle mie parole? Ricredetevi: ho citato con estrema fedeltà.
Apri qua, sutura lì, il visionario chirurgo mette alla fine in piedi - o meglio, carponi - il suo capolavoro. Dopo di che, il film è un susseguirsi di cancrene, agonie e tentativi di fuga. Per quanto siano in grado di fuggire tre persone così combinate.
Il finale non ve lo spoilero, perché merita. Preparatevi a ridere. Sempre che vi sia rimasta un po' di energia dopo tutti i conati.

martedì 26 giugno 2012

Da "cozza" a "cazzo!"



Che il liceo sia quel lasso di tempo scandito da una serie infinita di traumi lo sappiamo, oltre che dai film americani, perché ci siamo passati tutti. Il mio primo giorno di ginnasio mi scambiarono per un maschio. Va detto che all’epoca ero un incrocio tra E.T. e Valderrama, con altezza, fisico e felpe del primo, e capelli del secondo.
Poi per fortuna a noi ragazze accade l’adolescenza, che fa quello che la tettonica a zolle fece alla Pangea, ossia separa le tette dalla pancia e il culo dalle ginocchia, e a quel punto forse la vita non ci sorride, ma se non altro non ci guarda imbarazzata dal suo armadietto vicino all’aula di chimica. Perché siamo diventate sdraiabili. E quella scossetta che si sente quando ti accorgi di essere diventata figa e di piacere a qualcuno è la droga più potente del pianeta. Che gli sceneggiatori hanno sapientemente sintetizzato nei chick flick “Prima & Dopo”. La base è immutabile: la protagonista racchia diventa bella, e da lì prendono il via una serie di eventi.
Dite che è banale e semplicistico? Ma perché io devo iniziare la giornata insultandovi? È aspirazionale. A me il prima & dopo mi riempie di speranza. Mi fa credere che un giorno risolveremo il problema della fame nel mondo e che inventeremo il teletrasporto. Ogni volta che vedo “Il diavolo veste Prada”, quando la macchina da presa inquadra Andy, la protagonista, dalla punta dei meravigliosi stivali a quella frangetta perfettamente tagliata, io arrivo a pensare addirittura che magari – magari – un giorno per un abito di Miu Miu non sarà necessaria un’ipoteca.
Dite che non è credibile perché quella che in tempo-donna è una trasformazione di anni, in tempo-CF va dall’oggi al domani? Ok. Quindi? Non sarebbe la figata della vita andare a dormire roito e svegliarsi topa semplicemente facendo una ceretta, due maschere al viso e mettendo le lenti a contatto? Non succede nella realtà, me lo volete togliere pure dai CF? Ma tu guarda questi, oh.
Dite che il prima & dopo non è un vero cambiamento perché le protagoniste non sono mai delle brutte vere? Sì, qui avete un po’ ragione. Sono sempre delle fighe in incognito, delle Carmen Sandiego della bellezza, che ti portano a dubitare fortissimamente delle capacità professionali dell’oculista del protagonista. Però la produzione di un film dura qualche settimana, non 5 anni, suvvia.
Dite che sono sempre magre? Ovvio. I denti storti si curano. Il culo grosso no, sennò sarebbero dei “prima & dopo Lourdes”.
Ora però vi dico io qualcosa:

-“Il diavolo veste Prada”, che se esistesse una Walk of Fame dei prima & dopo, avrebbe la stella più grande. Quei vestiti. Mado’ quei vestiti. E quella sequenza iniziale meriterebbe l’oscar da sola.
-“Come tu mi vuoi”, una gemma italica, ambientata niente popò di meno che nella facoltà di Scienze della Comunicazione, permettendo quindi la più diffusa identificazione nella protagonista che si sia mai avuta dalla nascita del cinema ai giorni nostri.
-“Kiss me”, anche se lei a parer mio è figa pure nel prima. Qui siamo in un liceo, con un prom (il ballo di fine anno scolastico) di mezzo. Lo state già scaricando, vero?
-“L’uomo perfetto”, sempre dall’Italia e ambientato nel mondo delle agenzie di pubblicità. Qui la metamorfosi è maschile, ed è Scamarcio. Lo state già scaricando, vero?
-“Carrie lo sguardo di Satana”, l’altra faccia del prom. Sì, lo so, è un horror. Qualcosa da ridire?
-“Sabrina”. E Billy Wilder sarebbe fiero di essere in questo elenco.
-“Giù le mani da mia figlia”, che incarna l’incubo di ogni padre, ossia ritrovarsi una figlia figa, sapendo in prima persona fino a che punto può spingersi un maschio pur di fare sesso.

Questi sono un’ottima base. E ora scusatemi, la mia maschera al miele mi sta aspettando.

venerdì 22 giugno 2012

The Blair Witch Project. Il mistero del successo di Blair.




Ogni volta che invito gente a cena, gli ospiti mi chiedono sempre la stessa cosa, ossia farli sopravvivere. Per fortuna, quando ero una giovane studentessa a Roma, ci pensavano le mie amiche nonché coinquiline a nutrire gli invitati. Quando organizzammo l’ennesima cena e un nostro amico disse “Vi spiace se passa anche il mio amico chitarrista, Sean?”, i nostri cervelli capirono solo “vbhfhfgbakfa CHITARRISTA djhvfjhv NOME STRANIERO”, e insomma reagimmo come 3 cheerleader che hanno appena scoperto che l’acqua ossigenata fa dimagrire. Poi la porta si aprì su Scion. S-C-I-O-N. Nato per la chitarra, anzi, dalla chitarra, vista la medesima altezza. Occhiali brutti quando gli occhiali brutti erano solo occhiali brutti. E capelli color rat musqué.
Le aspettative, signori miei. Se l’invidia è il motore del mondo, le aspettative sono la benzina. Io avevo aspettativone per questo film. Tutte disattese. The Blair Witch Project è Scion. Trama: 3 ragazzi decidono di fare un documentario sulla leggenda di una strega che popola i boschi del Maryland. Come Pollicino, Hansel e Gretel sanno, nei boschi ti perdi, a meno che tu non ti sia attrezzato con un pratico fornaio tascabile. E loro hanno solo i marshmallow. Ed è un film horror. Si finisce male di default.
Giuro, io ero pronta a dargli tutto il mio terrore. Ero pronta a passar sopra alle orde di adolescenti in sala che ridono per mascherare imbarazzo, paura e acne. Ero pronta a saltare sulla poltrona così tanto da creare crisi di identità a Fosbury. Sapevo di gente uscita dalle sale, gente svenuta, gente che andava in India per rilassarsi e dimenticare l‘orrore. Niente. Manco un brividino.
Parte del problema per me nasce dal suo essere mockumentary (mod. professoressa ON), e dalla conseguente rinuncia a uno degli strumenti fondamentali per far cagare sotto, ossia la sottolineatura musicale, importantissima a maggior ragione quando a livello visivo fai vedere poco e punti sulla suggestione (mod. professoressa OFF). I mockumentary non hanno gli effetti, il montaggio e tutte quelle belle cosine dei film veri. E mi hanno pure un po’ rotto le palle eh. Capisco che con due euri di produzione, e contando su gente come me che sta agli horror come un bagnino romagnolo sta alla gnocca, ti sistemi fino alla decima generazione, però anche basta.
Detto ciò. Guardatelo lo stesso. Primo perché gli autori sono stati dei geni del marketing per la promozione del film, inscenando la sparizione dei protagonisti e alimentando la leggenda – e il botteghino. Secondo perché è stato talmente citato e ripreso in altre pellicole che è fondamentale per bullarvi nelle conversazioni coi vostri amichetti. E terzo perché vedere la paura che inasprisce gli animi e fa sbottare per qualsiasi stronzata, fa tanto tanto bene al piccolo meschino che è in noi.

giovedì 21 giugno 2012

Voglia di tenerezza. E di Nutella, tanta Nutella.


Quentin o chi per lui, prima di dare il via alle danze in "Kill Bill", ha l'accortezza di buttar lì una citazione: "La vendetta è un piatto che va servito freddo". E così, se all'uscita del capolavoro tarantiniano (si, chi scrive lo considera un capolavoro: fatemi un commento su come questa doppietta non sia altro che una sequela di citazioni di B-movies e vi costringo a guardare all'infinito le ultime scene di "Titanic") - dicevo, se all'uscita del capolavoro tarantiniano fosse rimasto ancora qualche sprovveduto ignaro di cosa lo aspettasse, veniva anche lui avvisato del fatto: qua si parla di vendetta, di vendetta che arriva a posteriori e molto probabilmente di una vendetta andata a buon fine.
Ecco, se James L. Brooks avesse voluto riservare allo spettatore la stessa cortesia - e sarebbe stato il caso - avrebbe dovuto aprire il suo "Voglia di tenerezza" citando la legge di Murphy. Perchè questo film è la concretizzazione perfetta del "Se qualcosa può andar storto, lo farà": qui per la precisione ad andar storto è tutto, alle povere Aurora (la mamma, Shirley MacLaine) ed Emma (la figlia, Debra Winger). Quindi è meglio chiarirlo subito: se vi accostate a questa visione aspettandovi vestitini, Cosmopolitan e "oh, non sarò mai Reginetta del Ballo!", ecco, fermatevi un secondo. Perchè questo film è sconsigliato a chiunque abbia di recente subito traumi, di ogni livello: dal tradimento del ragazzo di turno a quello del parrucchiere di una vita. Si piange in "Voglia di tenerezza" e si piange guardando "Voglia di tenerezza". I più sensibili piangono anche semplicemente PENSANDO a "Voglia di tenerezza". Incantevole la sceneggiatura, magistrali i dialoghi, strordinari gli interpreti: pochi film di chick flick possono vantare un Oscar, figuriamoci cinque.
La trama è semplice e ci racconta la storia di queste due donne, che solo agli occhi di uno spettatore idiota (o uomo) potranno risultare nemiche così come si atteggiano. La vita con Aurora ed Emma sarà davvero, come dire, una sadica puttana. Per fare un esempio; seguiremo le due nel corso di quasi vent'anni, ma per il primo dramma non dovremo aspettare che pochi minuti. Insomma, aspettatevi il peggio e forse così vi risparmierete un pacchetto di Kleneex. Uno su cinque, sia chiaro. 
Per concludere, una nota personale: ringrazio la mia mamma per avermi appioppato la visione, in tenera età, di "Voglia di tenerezza" e "Profondo rosso": non si è mai troppo piccole per apprendere tutte le diverse sfumature del pessimismo cosmico.

mercoledì 20 giugno 2012

La casa dalle finestre che ridono. Ovvero, home is where the heart, and other body parts, are.



Immaginate di avere un fratello. Il patrimonio genetico è quello. Siete molto simili. Però lui è meglio. Della poesia di Natale si ricorda pure le congiunzioni, lui. È la vostra versione 2.0. Diciamo che se lui fosse un libro, voi sareste il suo adattamento cinematografico americano. È un po’ questo il rapporto tra horror e thriller. Li separa una linea sottile quanto il perizoma di un’attricetta al primo b-movie. Però, nonostante questa vicinanza, molti credono che il thriller abbia molto più valore del suo fratellino. Ora, non sono qui per aprire dibattiti o confutare le loro affermazioni con ragionate motivazioni (idioti!), ma per approfittare della confusione tra i generi come se fossi Almodovar. Insomma, voglio parlarvi di un film che è a cavallo di quella linea, anzi, che quella linea la domina come un tamarro fa con un toro meccanico. La casa dalle finestre che ridono.
Intanto voglio ringraziare pubblicamente Avati: Pupi, se mi leggi, sappi che io ti amo quanto un emo ama una lametta, perché mi hai donato la migliore inquietudine della mia vita. Questo cult è uscito nel 1976, ma dimostra meno anni di me. E io sono un fiore.
Prendiamo il titolo: ti fa pensare a Doris day vestita pastello che prepara pancakes per 2.5 figli e il cane. AH AH AH AH! Guardate quella bocca clownesca e poi ne riparliamo.
Prendiamo l’ambientazione, la campagna ferrarese, dove tutto si muove a rilento, tu magari sei più vispo di Don Lurio ma arrivi lì e sei risucchiato in questo campo magnetico di valeriana. A quel punto scappa, se riesci.
Mettiamoci che il film ha tra i protagonisti un nano vestito da Uomo Del Monte e che se la comanda uguale. Quando sei così basso, per arrivare così in alto devi essere tignoso forte, come dice nonna Adele.
Non dimentichiamo che tutto il film parte da un affresco da restaurare che raffigura il martirio di San Sebastiano. Non so voi, ma è il mio martire preferito, saranno i boccoli, sarà l’espressione, sarà che c’ha più freccette di un bar di periferia. 
Aggiungiamo la tenerezza di vedere tutti i personaggi di paese, e di un paese negli anni ’70. Il matto, l’ubriacone, la zoccola… Non puoi non ritrovarci dentro la tua famiglia in un modo o nell’altro.
Ah, nel film la Chiesa ha un ruolo di peso. Devo forse ricordarvi quanto sia felice e prolifico il matrimonio tra Chiesa e horror? Appunto.
Concluderò con i 2 motivi che mi fanno amare questo horror sopra ogni altro: il primo è che è tutto orribilmente possibile. Tutto. La sospensione dell’incredulità (mica pizza e fichi) qui non serve.
Il secondo è che contiene un messaggio di speranza universale: dovete sapere che tra gli sceneggiatori c’è Maurizio Costanzo. L’uomo che ha contribuito a lanciare Costantino Vitagliano. Questo significa che ognuno di noi può fare qualcosa di grandioso nella vita, e che, anche se poi fai immani cazzate, ci sarà sempre quella cosa grandiosa a ricordare al mondo di cosa sei capace.

martedì 19 giugno 2012

Dieci cose che odio di "Dieci cose che odio di te"



In ordine sparso? In ordine sparso.
1) Già in generale il "prendiamo un classico della letteratura e famolo moderno" nasconde in sé il germe dell'epic fail. E questo filmetto ne è la prova più lampante:
Shakespeare non si starà rivoltando nella tomba in quanto come suo solito avrà rubacchiato da qualcun altro la trama de "La bisbetica domata". Ma sono sicura che questo qualcun altro avrà maledetto tutti i coinvolti: dal regista al ragazzo che portava le pizze sul set. Insomma, l'adattamento agli anni '90 non regge manco per dieci minuti. Vi dico solo che tutto parte da un padre apprensivo che impone alle due figlie una nuova regola: potranno uscire la sera solo se entrambe troveranno qualcuno con cui farlo. Uhm. Astuta, questa regola. In effetti le ragazze saranno molto più al sicuro, se anziché rischiare la molestia individuale andranno incontro a un bello stupro di gruppo.
2) Se è il soggetto è adattato male, i dialoghi sono scritti peggio. Ho perso il conto di quante volte viene sottolineato che una delle due sorelle (Bianca) è amata e popolare e l'altra (Kat) è asociale e bisbetica. Capito? BISBETICA. Come nella commedia di Willy. Eh? EH?
3) Non c'è ritmo. Probabilmente all'ultimo momento il montaggio del film sarà stato affidato a una scimmia ubriaca.
4) La scimmia di cui sopra deve essersi data molto da fare anche con la colonna sonora. Pezzi che presi singolarmente e disinfestati da "Dieci cose che odio di te" potevano anche essere gradevoli, ammassati qui su scene a caso contribuiscono alla sensazione di "Hey, ma questo film è proprio fatto a cazzo di cane!".
5) So che erano giovani e inesperti, so che avranno avuto bisogno di soldi e di farsi vedere in giro, ma non posso fare a meno di scuotere il capo di fronte a Joseph Gordon-Levitt e Heath Ledger coinvolti in questo scempio.
6) La faccia di Bianca, non aggiungo altro: tale Larisa Oleynik, andate a cercarvela su Google Immagini.
7) Tutto nasce da un inganno, ma poi l'amore trionfa. Originale. E si, lo so che il 70% della chick flick si basa sulla stessa struttura, ma che diamine: almeno negli altri film ci sono dei bei vestiti. E infatti:
8) ora, lo so che siamo nel 1998. Che quella è stata una decade da trattare coi guanti per quanto riguarda lo stile. Però c'è modo e modo: in "Dieci cose che odio di te" non c'è la minima attenzione al look delle interpreti e questo, scusate, ma per un film da femmina è una cosa imperdonabile. D'altra parte, c'è una giustificazione: impegnata tra montaggio e colonna sonora, la nostra scimmia ubriaca avrà avuto ben poco tempo da dedicare allo styling.
9) Dal trailer mi sembrava bello e mi sento brutalmente ingannata.
10) Se qualcuno si accostasse al genere chick flick guardando "Dieci cose che odio di te", non solo continuerebbe a non avere idea di cosa si tratta, ma probabilmente si rifugerebbe a vita nella filmografia di Terrence Malik. Quindi: Livia, lascia stare.

giovedì 14 giugno 2012

E figuriamoci se li odiava. The Loved Ones.


“The loved ones” è la perfezione! Lola Stone, io ti amo! Oscar, Oscar!
Ah, vi paiono commenti troppo emotivi? Peccato: we can' hear youuu! (Per capire la citazione dovete aver visto il film. E se non l'avete ancora fatto, vi guardo dall'alto in basso. E farvi guardare dall'alto in basso da una che non arriva ai 160 centimetri è umiliante, eh. Poi fate vobis.)
Si, insomma: a me quest'horror made in Australia è piaciuto parecchio. Perché mentre ridi, ti copri gli occhi per non vedere cervelli perforati. E alla fine non sai da che parte stare, o meglio: ti identifichi alternativamente con tutti i personaggi. Parteggi per la povera Lola, che in quanto bruttina - e matta come un cavallo - viene respinta dal ragazzo dei suoi sogni, e anziché chiudersi in camera a piangere e lamentarsi sul suo blog decide di rapire il suo bello e torturarlo a morte. Parteggi per il padre di Lola, suo complice nel massacro poiché segretamente innamorato della figlia - e si, poiché matto come un cavallo anche lui. E parteggi anche per il povero disgraziato che si rifiuta di portare Lola al ballo e viene per questo punito con una trapanata in fronte.
"The loved ones" non fa certo il timido con lo spettatore: mette in bella mostra tutto, dal rapporto perverso tra padre e figlia al sangue adolescenziale versato a fiotti. E' un film che mi assumo la responsabilità di definire onesto. Perché suvvia, Lola mette semplicemente in pratica ciò che ogni ragazzetta ha sognato di fare: trovarsi tete-a-tete con Mr Liceo e avere il coltello dalla parte del manico. Più o meno letteralmente.
Unico effetto collaterale: da oggi in poi ogni volta che ascolterete questo pezzo innocente, non potrete fare a meno di guardare con sospetto la prima cozza che vi passa accanto.

La verità è che non gli prende il telefono. O che magari ha finito il credito. O forse è andato a trovare sua nonna.


Se Dante fosse stato una donna, probabilmente nel mezzo del cammin della sua vita si sarebbe ritrovato in un bar pieno di maschi inadatti: il non richiamatore, il ventilatore (che è l’equivalente maschile della profumiera: te lo sventola davanti come le pale di un ventilatore, e come il ventilatore, se hai caldo è perfettamente inutile), il puttanello, il dittatore… eccolo l’inferno di una donna. In più Gigi, la protagonista interpretata da Ginnifer Goodwin, oltre alla difficoltà conclamata dalle statistiche di trovare un uomo decente quando sei intorno ai 30 (perché mica parlo per esperienza personale io, no no) ci mette del suo: uno le dice “ci sentiamo” e lei gli corre appresso per sapere chi dei due deve farsi sentire; guarda un uomo con gli occhi del bisogno, e quando si parla di bisogni a un uomo interessano solo le parole crociate; chiama invece di farsi chiamare. Insieme a lei, Jennifer Aniston che sta con Ben Affleck da 7 anni, che la ama ma non vuole sposarsi, e Jennifer Connelly sposata con Bradley Cooper.
Ora, Bradley Cooper è la prova vivente che Lombroso aveva ragione. Tu non puoi stare con uno con quella faccia e pensare che ti vada di culo. Non perché non sia capace di amare, anzi: è capace di amare l’intera popolazione femminile mondiale, poli inclusi. Bradley interpreta lo stronzo che si è sposato perché si sentiva in dovere. Solida base per un matrimonio. Soprattutto quando c’è in giro Scarlett Johansson, altra prova dell’esattezza della teoria lombrosiana, che se c’hai la faccia da zoccola, probabilmente pure il resto lo è (e comunque Scarlett ha la cellulite, tiè). Tra l’altro, Bradley caro, preferire Scarlett a Jennifer Connelly è come mettersi il vestituccio di Zara per andare al Gran Galà, quando nell’armadio hai uno Chanel.
Comunque, le nostre tre amiche si barcamenano tra le loro relazioni dandosi consigli e dissezionando ogni comportamento maschile con la precisione di un ricercatore del Cern. Un particolare del film che ho apprezzato è che ad aggiungersi al coro di consigliori non c’è solo il solito amico gay, ma un amico etero. Barista. Categoria che insieme ai camerieri io amo supremamente. Gigi analizza i suoi incontri come un antropologo culturale fa con una tribù di agricoltori del Malebo. Alex, il barista, glieli smonta con la grazia con cui i fratelli ti distruggono le barbie. Perché i giri che il nostro cervello fa per capire certi comportamenti maschili, per un uomo sono totalmente insensati. Ragazze, noi scriviamo a “Cioè”! Ma voi ve lo immaginate vostro fratello che scrive “Caro signor Cioè, ho appoggiato i miei jeans sulla sedia dove il giorno prima l’amica di mia sorella si era seduta mentre facevano la versione di greco. Ho perso la verginità?”.
Dicevamo. Due ore piacevoli . Perché è divertente, perché ognuna di loro arriva alla soluzione più giusta, perché dà speranza, perché si versano quelle due lacrimine che aiutano sempre. Ma soprattutto, perché vedrete un confronto tra uomini e donne che non preveda la sintonizzazione su un programma di Maria De Filippi. E scusate se è poco.

martedì 12 giugno 2012

Non spinga signora, per l'amor di Dio!



Ci sono persone (donne) che considerano la gravidanza l'esperienza più emozionante della vita. E loro le lasciamo a guardarsi "24 ore in sala parto" su Realtime.
Ce ne sono altre (donne e uomini) che la pensano in modo un po' diverso. Ovvero: avere una specie di Alien che cresce dentro di sé è un fatto talmente disgustoso che già solo l'idea basta a provocare le famose nausee mattutine. Ecco, io appartengo a questa seconda categoria.
Per cui condivido appieno il pensiero che deve aver ispirato questo fantastico horror francese: dove non arriva il sangue, arriva la placenta. E dov'è che arriva? Dritta dritta a colpire occhi e stomaco dello spettatore.
Ora, parliamoci chiaro: chi ama il genere avrà sicuramente notato che da un po' di tempo la Francia sta partorendo - giustappunto - dei veri capolavori horror. Ma "À l'intérieur" è un fuoriclasse, gente. Perché raggiunge un equilibrio perfetto tra tensione thriller e violenza splatter: nella prima parte del film si salta dal divano, nella seconda si salta dal divano per correre in bagno a vomitare. E difatti in Italia, dove la mamma è sempre la mamma e sulla gravidanza non si scherza, "À l'intérieur" non è mai stato distribuito. Ma tranquilli: potete comodamente vedervelo in lingua originale, anche se del francese capite solo "baguette" e "abat-jour". In questo film infatti non si parla: si urla e basta.
Tutto inizia con un incidente stradale. Due auto si scontrano: al volante di una di queste c'è Sarah, la ragazza che scopriremo essere la nostra protagonista. Incinta. Insieme al marito, che ci lascia le penne. La donna e il nascituro invece per ora si salvano. PER ORA.
La gravidanza prosegue e si arriva alla vigilia del parto. L'ultima notte da gravida, Sarah decide di passarla a casa da sola. E vabbè, questo dettaglio della sceneggiatura in effetti è difficile da giustificare. Ma noi siamo abituati a teenager che anziché pomiciare in camera loro preferiscono farlo  proprio in luoghi dimenticati da Dio, per cui non stiamo qui a razionalizzare.
Dopo un quarto d'ora di film, appare comunque già chiaro che Sarah ha fatto una stronzata. Una strana donna, inquietante come un personaggio Lynchiano, inizia ad aggirarsi intorno alla villetta della ragazza. Quindi, ricapitoliamo: è notte fonda, Sarah è sola come un cane, incinta che di più non si può e assediata da una sconosciuta. Secondo voi, c'è da aspettarsi un lieto fine?
Io dico solo: finché siete in tempo - quindi entro la prima mezzora di film - andate a fare scorta di Plasil. E una volta finita la carneficina - perché si, suvvia, non è uno spoiler: è ovvio che ci sarà una carneficina - valutate seriamente l'adozione come alternativa alla gravidanza.

P.S. A un certo punto la protagonista partorisce il neonato dalla bocca. Così, perché non vi vedevo ancora adeguatamente disgustati.

It's my 16th party and I'll answer sex quiz/give my panties/fall in love if I want to.



Se Suor Maria Von Trapp avesse visto “Sixteen Candles. Un compleanno da ricordare”, non avrebbe mai cinguettato amabilmente che 15 anni, quasi 16, è la più bella età.
In questo capolavoro di John Hughes – che per quanto ci riguarda sta ai chick flicks come Dio sta alla Bibbia, in sostanza ha inventato il genere – incontriamo Samantha, detta Sam, proprio nel giorno fatidico in cui compie 16 anni. Sam è normale: non è una Figa Che Non Ti Aspetti, non è la classica ragazza che si toglie gli occhiali e diventa Miss Universo, via l’apparecchio ed ecco Jenna Jameson. Sam è noi: è carina, probabilmente anche a lei viene il brufolo sul mento con il ciclo, e quando piove i capelli le diventano crespi. Quella bellezza che a ogni dettaglio che noti guadagna punti, come per i premi dei benzinai.
Il giorno del suo compleanno tutti pensano al matrimonio di sua sorella, e nessuno le fa gli auguri, nemmeno la madre. Avesse almeno una vita amorosa piena e appagante. E no, perché a Sam non piace un figo, ma IL figo, Jake: bello, ricco, nemmeno tanto scemo e fuorissimo portata. E che sta con una la cui stronzaggine è direttamente proporzionale alle tette e alla biondezza. Samantha ha anche uno spasimante, uno sfigato del primo anno che naturalmente non le piace, perché quando mai a 16 anni è il ragazzo giusto a venirti dietro?
Comunque lei quel giorno fa uno di quei test intelligenti che girano in classe, con domande esistenziali come “chi ti faresti”. Lei risponde, e Jake intercetta il foglio. Qui avviene il miracolo che non succede mai nella vita reale: lui la nota. E inizia a fare domande in giro manco fosse un centralinista della Doxa, chiede pure allo sfigato del primo anno, che gli fa capire che grande cuore abbia Sam con un discorso sulle mutande. E questo film conferma che per avere certi elogi da un uomo, quelle te le devi sfilare.
Arriviamo a una festa. E qui ci fermiamo perché non vogliamo dirvi come va a finire, anche se il fatto che si intitoli “Un compleanno da ricordare” e non “Un compleanno demmerda” qualcosa vorrà dire.
Guardatevelo, perché merita come poco altro. Zittite chi vi squadra dall’alto in basso dicendo che è un film da femmine rispondendo “Oh! Ma non lo sai? È stato praticamente il debutto di John Cusack!” (“Tu che ancora te la meni con le classifiche di “Alta Fedeltà””. Ma questo pensatelo e basta). E guardatevelo perché così, la prossima volta che vedrete un red carpet dove si aggirano attori che frequentano “showgirl” italiane per confermare la propria omosessualità, pure voi potrete disperarvi uggiolando perché Michael Schoeffling, l’interprete di Jake, ci ha abbandonato e si è messo a fare il falegname.

venerdì 8 giugno 2012

"L'inferno è una ragazza adolescente".



Mettiamola così: se il genere horror stuprasse la chick flick; se questa violenza portasse a una gravidanza; se la chick flick fumasse crack per l’intera gestazione, ciò che alla fine vedrebbe la luce sarebbe “Jennifer’s body”. 102 minuti di schizofrenico mash-up tra satanismo, doppie punte, corpi seviziati e jeans a vita bassa. Il tutto firmato da Diablo Cody. 
Ma dimenticatevi il buonismo indie che grondava da ogni scena di “Juno”.  I teenager di “Jennifer’s body” soffrono e fanno soffrire, si odiano anche quando si amano e soprattutto si ammazzano senza farsi tanti problemi. E poi al posto della faccetta irritante di Ellen Page ci sono le tette di Megan Fox, vogliamo mettere.
Insomma, posso dirlo? Diciamolo: questo film è un piccolo capolavoro di ironia noir. Ma vediamo perché.
1) Il titolo, signori. Citazione musicale di alto livello, pressoché gratuita. Viene da chiedersi se sia nato prima il titolo o la sceneggiatura, ma ci interessa? No. E sul finale naturalmente arrivano le Hole. Avete mai assistito a una carneficina sulle note di “Violet”? E’ un’esperienza catartica, vi assicuro.
2) L’evento scatenante. Ovvero: dato un gruppetto di liceali di provincia, con tutti i loro scazzi, invidie e gelosie, cosa interviene a distinguere questo film da una qualsiasi puntata di Dawson’s Creek? Un sacrificio umano. Un sacrificio umano a Satana. Un sacrificio umano a Satana, per mano di una band indie in cerca di fama. E potremmo concludere qui. Memorabile la scena in cui Adam Brody sprona alla violenza gli altri membri della band a suon di “Vuoi restare uno sfigato in eterno, o vuoi diventare ricco e famoso come quelli dei Maroon 5?”.
E infatti li convince: Jennifer-Megan viene pugnalata a morte, salvo risorgere subito dopo e insomma poi i dettagli scopriteli da soli.
3) Potrei riassumere quest’ultimo punto in “La scena lesbo tra Megan Fox e Amanda Seyfried”, ma sarebbe un po’ riduttivo. È proprio nel rapporto tra le due protagoniste che questo film fa bella mostra di tutta la sua chick flicktudine. La bella e la bruttina, amiche e rivali da sempre: naturalmente alla fine emergerà che è proprio la bomba sexy la più fragile e infelice. E d’altra parte, vorrei vedere: è lei che si becca il pugnale in petto, eh.
Per finire, una postilla: fin qui abbiamo scherzato, ma c’è anche una motivazione seria per guardare e riguardare questo film. E probabilmente la troverete segnalata anche nel Mereghetti: Adam Brody in versione rockstar maledetta è proprio un figo pazzesco.

E perché il cuore fa una brutta fine?

Perché qui si parla di horror e chick flick. Ma chiariamolo subito: se quello che cercate sono critiche serie, siete nel blog sbagliato. Qua troverete solo giudizi arbitrari, commenti umorali e recensioni scritte più con la pancia che col cervello.
Le pance di cui sopra sono quelle di due ragazze, ossessionate in egual misura da vestiti e arti recisi brutalmente. Insomma, siamo donne a cui piace sognare: in un caso quello che vorremmo succedesse a noi; nell’altro quello che sarebbe fantastico succedesse ad altri.

E poi Livia, l’abbiamo fatto anche per te: se ti convinceremo a guardare anche un solo horror o una sola commedia pucci-pucci, queste parole non saranno state scritte invano.