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martedì 23 aprile 2013

Contratto di cornificazione a progetto. Something borrowed

Quando avevo 15 anni, avevo una “simpatia” con cui è durata circa 3 settimane. 21 giorni in cui lui mi mise le corna 7 volte. SETTE. Io, in 21 giorni, riesco a malapena a fare dei pasti completi per 7 volte. Potenza del tradimento.
Lui, lei, l’altra. Tocca a tutti prima o poi. I migliori di noi hanno interpretato tutti e 3 i ruoli. Imparare a gestire il tradimento è una cosa che tutti dovrebbero saper fare. E proprio qui ci torna utile questo film, cui sono arrivata dopo aver letto il libro da cui è tratto. Il film riesce in una cosa che al suo equivalente cartaceo manca: farci odiare la legittima consorte con una convinzione che ci spinge ad augurarci che i due fedifraghi copulino davanti ai suoi occhi. Ma andiamo con ordine.
Rachel e Darcy sono migliori amiche da sempre. Rachel, Ginnifer Goodwin, è seria e mora, Darcy, Kate Hudson, è bionda e femmina alfa. Vanno a New York, la prima per frequentare la scuola di legge, la seconda perché è New York. A scuola Rachel incontra Dex. Si piacciono e diventano amici. Ma Rachel è scema, Dex uomo ergo pigro, e Darcy gliela tira con la fionda, quindi lui si fidanza con la bionda piuttosto che faticare per quello che realmente vorrebbe. E qui abbiamo il primo teorema Venditti: come fanno le segretarie con gli occhiali a farsi sposare dagli avvocati? Stanno lì. Zero sbattimento.
Alla festa a sorpresa per i 30 anni di Rachel, Darcy finisce a casa ubriaca, e Dex finisce dentro le mutande di Rachel. Loro iniziano la tresca, già che c’è anche Darcy ne inizia una, e si va avanti così fino a quando Dex manda all’aria le nozze e si mette con l’amante.
Prima di tutto, una precisazione: no. Non si va con l’uomo della tua migliore amica. Un uomo si può tradire, un’amica no. Meriti di stare sola per sempre. Se i maschi hanno “bros before hos”, noi dovremmo avere “chicks before dicks”.
Detto questo, perché dovrebbe interessarci un film ben lontano dall’essere un capolavoro? Perché è un bignami sulle corna versione basic.

IL PESCE PUZZA PURE QUANDO È FRESCO. Dex è il ritratto del bravo ragazzo: ha le fossette e sembra pulito come se fosse appena uscito dalla piscina della casa di una pubblicità di Ralph Lauren. Ma quando si tratta di corna il bravo ragazzo è uguale al cattivo. Non importa se vi promettono cani, gatti, bambini e case in campagna. L’unica cosa che dovete fare è chiedere al capo cantiere di alzare a sufficienza le traverse delle porte. E ringraziarlo in natura.

LA MELA NON CADE MAI LONTANO DALL’ALBERO. Rachel e Dex erano compagni di corso, e sono entrambi avvocati. La simpatia di cui parlavo all’inizio mi ha fatto buona parte delle corna con alcune sue compagne di liceo. So di storie nate prendendo gli stessi mezzi pubblici, frequentando la stessa palestra o lo stesso posto di lavoro. E qui c’è il secondo teorema Venditti: come fanno le segretarie con gli occhiali a farsi sposare dagli avvocati (sì, ancora loro)? Stanno lì. Si desidera quello che si vede. Anche la più racchia dopo un po’ acquista fascino a forza di trovartela sempre davanti. Jude Law e la baby sitter. Non dico altro.

LA GENTE È SCEMA SOLO QUANDO SI TRATTA DI ANDARE A VOTARE. Quando si tratta di farsi i cazzi altrui, le persone diventano potenziali candidati per un dottorato al MIT. Ethan, amico di Rachel, sgama la tresca senza che lei gli dica assolutamente nulla. È il linguaggio verbale. Il corpo tradisce due volte. Invece andare in giro da soli sfiorandosi le mani, come capita ai due amanti quando i genitori di lui li scoprono, è linguaggio dell’idiozia. In sostanza, evitate di limonare se c’è gente nei paraggi. E negate. Sempre. Non ci vuole una laurea al MIT per capirlo.

SI CHIAMANO ALTARINI, NON CRIPTINI. Alla fine vengono sempre fuori. Anche dopo che la storia è finita (v. quello delle 7 volte). La fiducia è un po’ come i buoni propositi di uno a dieta di fronte al buffet dell’aperitivo: basta una nocciolina a farli crollare. Una donna che sospetta è un agente segreto al servizio di Sua Maestà. In questo aiutata dalla stupidità maschile nel lasciare indizi. Persino i più bravi, che cancellano tracce e messaggi da case, computer e telefoni, dimenticano il fatto più importante: anche l’amante ha un telefono. Su cui loro non possono mettere le mani.

Però devo aggiungere una cosa. Se proprio volete conoscere lo stato dell’arte del tradimento, il mezzo di comunicazione cui rivolgervi non è il cinema. È questo.

giovedì 18 aprile 2013

All you can kill. Dead Sushi


Il tutto è più della somma delle parti. Lo dice la psicologia della Gestalt, lo dicono piatti come le lasagne. E lo dice questo capolavoro di cui oggi vi parlo. Perché tutti i singoli elementi di puro genio che lo compongono, insieme danno vita al genio universale. Un film che parla di sushi assassino. Mi viene da piangere per la gioia, al pensiero di quanto in là può spingersi il mirabile intelletto umano.
Ma torniamo al genio. Che è evidente fin dalla trama. La protagonista, Keiko, è la figlia di un sushi chef stronzissimo. In pratica le dice che, essendo donna, contamina col suo odore il sushi, e quindi quello che cucina fa cagare. Lei scappa, e trova lavoro come cameriera in un albergo-ristorante. Nei pressi dell’albergo gira un barbone, che è un ex-ricercatore di una grossa casa farmaceutica. In sostanza lui ha inventato un siero capace di riportare in vita gli animali. L’unico effetto collaterale è che le bestioline diventano esseri assetati di morte. Quando nell’hotel capitano i capoccia della casa farmaceutica, il barbone decide di vendicarsi, e inietta il siero nel sushi. Da qui in poi è una lotta all’ultimo sangue per la sopravvivenza, col sushi violentissimo da una parte e gli umani dall’altra.
Fossi in voi, interromperei la lettura qui (scherzo) e mi cercherei un bel link per lo streaming (lo trovate sottotitolato in inglese). Ma siccome so che state ancora leggendo, vi snocciolerò le perle che il regista, Noboru Iguchi, ha lanciato a piene mani nella pellicola.
Come, tanto per iniziare, il bacio alla giapponese. Lo so, voi conoscerete quello eschimese, che si dà con le ciglia, o quello francese, che vabbè lo sanno anche i muri. Ma quello giapponese, che i due amanti si scambiano passandosi un rosso d’uovo crudo da una bocca all’altra, lo avevate mai visto?
Poi c’è la coltellofobia, psicosi di cui soffre l’ex-chef dell’albergo poi diventato giardiniere.
C’è Keiko che si allena a preparare il sushi insieme al padre indossando delle catene ai polsi, roba che, se siete nati negli anni ’80, avete visto fare solo a Mimì Ayuhara durante gli allenamenti di pallavolo.
C’è il sushi nasale, e la dinamica è troppo complessa da spiegare, ma sappiate che a un certo punto del film, voi vedrete un nigiri che, al posto della fettina di tonno, ha un naso di uomo.
C’è l’evoluzione della pioggia dorata, ossia la pioggia insanguinata, che secondo me R Kelly sta già in fibrillazione all’idea di provarla.
C’è il barbone che, spinto dalla fame di vendetta, ingurgita del sushi infetto per rinascere sotto forma di tonno gigante, che per tagliarlo più che un grissino serve una katana di Hattori Hanzo.
Non dimentichiamo l’arma del futuro, il sushi-nunchaku con cui la protagonista combatte in uno degli scontri finali.
Ci sono ovviamente i vari pezzi di sushi killer, che azzannano, entrano nei corpi umani passando dalla patata, si accoppiano tra loro selvaggiamente, e crescono a dismisura fino a dar vita a una sorta di astronave-uova di salmone dotata di cannoni funzionanti.
Ma la parte del leone spetta a lui, la star, il nigiri-frittata. Lui che è come noi, vittima di bullismo da parte dei sushi-pesce che lo considerano un sushi di serie B (bullismo verso il sushi. Vi rendete conto?).
Lui che quando sente l’ex-chef fare una puzzetta, finge di svenire per l’odore. Lui che canta, e pure bene: una pallocca di riso con un pezzo di frittata sopra che CANTA, Dio mio. E lui che, prima di compiere l’estremo sacrificio per salvare Keiko, la bacia sulla bocca in un momento denso d’emozione.
Leonardo Di Caprio, scansète.

martedì 16 aprile 2013

Kiss, kiss Molly’s lips. Uptown Girls.

Tanto per iniziare bene, vi butto lì tre-quattro ragioni per cui questa “commedia” ridurrà il vostro bel faccino a un ammasso informe di lacrime, occhi gonfi e naso da Rudolf La Renna:
- Brittany Murphy qui era giovane, bellissima e ora è morta;
- Dakota Fanning ora è il sex symbol della comunità indie, ma voi siete così vecchi da ricordarvela com’era in questo film;
- nella storia – e nel nome - di Molly non potrete non cogliere riferimenti a Frances Bean Cobain e al suo defunto padre (e se non li cogliete, tranquilli: tornate pure ad ascoltare Gigi D’Alessio, qui per voi non c’è niente da vedere);
- bramerete disperatamente la casa di Molly – che trasuda “Live through this” in ogni cm quadro – ma non potrete mai permettervela. 

Ora che ho messo le mani avanti, facciamo un passo indietro.
“Uptown Girls” è molto più di una canzone dei Westlife (e non fate quelle facce: lo so, che la conoscete anche voi). È una piccola, strana e pressoché sconosciuta perla nell’oceano del chick flick. Con una colonna sonora di tutto rispetto, tra l’altro. In sintesi, è il film che potrebbe girare Sofia Coppola se non fosse una figlia di papà che non ha alcun bisogno di girare film commerciali. Pretenziosa figlia d’arte che non è altro. La amo poi la odio poi la apprezzo.
Ma torniamo a noi: Brittany Murphy. Probabilmente i più la ricordano solo per “Ragazze a Beverly Hills”. Ovvero così:


Ecco, questa sfortunata e bravissima attrice merita di essere commemorata meglio. Perciò guardatevi “Uptown Girls” e preparatevi ad ammirare il Before-After più riuscito della storia.


Qui Brittany ci racconta la storia di Molly, ricca erede di rockstar tragicamente scomparsa. La sua vita si divide bellamente tra feste, amori disgraziati e dolce far niente, finché una truffa le fa perdere tutto: casa, soldi e persino le chitarre del padre. Così per sopravvivere Molly si ritrova a dover fare una cosa orribile: lavorare. Nello specifico, lavorare come baby sitter di Dakota Fanning. 

E qui vorrei sottolineare che in questo film Dakota Fanning era ancora in età da baby sitter. Era il 2003. Dieci anni fa. E voi eravate già adulti. Piangete con me.
E niente, come prevedibile lo scontro con la dura realtà farà maturare la nostra protagonista, che in Dakota rivedrà se stessa e la famiglia che non ha mai avuto ecc. ecc.
La trama certo non brilla per originalità, ma è messa giù in modo così – dio mi perdoni per il termine che sto per usare – cute, da risultare adorabile.
Sempre che siate cresciute ascoltando le Hole e sognando di essere Lux Lisbon, ovvio.

giovedì 11 aprile 2013

Una tortura: dentro e davanti lo schermo. Gut.

Thriller, splatter, snuff, horror sci-fi, e potrei continuare ancora: ciò che mia nonna definisce "Film dell'orrore", racchiude in realtà una miriade di sotto-generi diversissimi tra loro.
E pensate che soddisfazione, per un regista, poter addirittura inaugurare una di queste micro-categorie. Per cui, stringiamo una mano virtuale a Elias: perché con il suo "Gut" ha  ufficialmente creato un genere horror nuovo di zecca: la Meta-tortura.

Peccato che alla domanda "Ne avevamo davvero bisogno?", il pubblico risponderebbe "Ma col cazzo!".
Il motivo è presto detto, basta dare uno sguardo a ciò che intendiamo con "Meta-tortura": horror che mira a ricreare nello spettatore la stessa sofferenza mostrata sullo schermo. Esempio: mentre i protagonisti del film muoiono dissanguati per mezzo di strumenti chirurgici, lo spettatore muore di noia per mezzo di un montaggio che persino Terrence Malick definirebbe "lento da far schifo".
Gli ultimi venti minuti li ho guadati skippando una scena su tre, e ciò nonostante ho invocato i titoli di coda come una vittima stremata invoca il colpo mortale. Per dire.

Ogni lunghissimo minuto di "Gut" evoca l'immagine di Elias che sogna recensioni alla "Most disturbing movie of the year!".
E qualche recensione del genere l'ha anche ottenuta, per cui occhi aperti: non cascateci. Se davvero siete gente di ferro e volete mettere alla prova stomaco e psiche, guardatevi questo o questo. Magari chiederete una seduta extra al vostro analista, ma ne sarà valsa la pena.

Ma torniamo a "Gut". Se proprio dobbiamo. In una delle poche review positive leggiamo: "Gut is the quietest, most introspective film about snuff films you will ever see". Ecco. Come dire "Il porno più morigerato di fronte a cui vi masturberete quest'anno".
La morale del film sembra essere: diffidate della routine, vi trasformerà in sadici voyeur prima e torturatori poi. Tom e Dan sono superamici e colleghi, solo che tra famiglia e lavoro si annoiano parecchio (si, qui la noia è proprio il laitmotive di tutto). Un giorno uno dei due riceve uno strano dvd per posta: si tratta di uno snuff, che mostra una donna squartata in diretta. Il tipo pensa bene di condividere la visione con l'amichetto, e di colpo entrambi si ritrovano ossessionati dal filmato ecc. ecc. Non faccio spoiler per educazione, ma fidatevi: dopo mezzora avete già capito come finisce la faccenda.
Di base, con voi che chiedete indietro i soldi del biglietto.


lunedì 8 aprile 2013

Senza cerchietto la stessa non sei più. Blair Waldorf vs Leighton Meester.

Nella vita, se Dio vuole, tutto scorre. Altrimenti io non sarei qui a scrivere e voi non sareste qui a leggere: avremmo tutti allegramente imitato Mr Cobain prima ancora di arrivare all'esame di maturità.
Ci sono tuttavia due-tre decisioni, che segnano l'intero corso della nostra esistenza e da cui è difficile, se non impossibile, tornare indietro. Decisioni che stipulano legami di ferro e che trasformano qualcun altro nel nostro sidecar personale: la decisione di sposarsi, la decisione di mettere al mondo un figlio e la decisione di interpretare un personaggio di una serie TV. Serie TV che, se proprio vi dice male, avrà un successo planetario.
Non devo starvi a spiegare il perché: Alexis Bledel per noi sarà sempre e solo Rory Gilmore; Shannon Doherty potrà fare tutti gli shooting osé del mondo, ma resterà Brenda Walsh finché campa. E per tutti i dettagli sulla "Maledizione Dawson", andatevi a riguardare James Van Der Beek in Don't trust the bitch in Apartment 23.
Ogni attore invischiato in un serial conosce benissimo il destino a cui va incontro. Tuttavia, arrivato in genere alla terza stagione, si ritrova a dire a se stesso "Hey, devo battere il ferro finché è caldo! Potrei raddoppiare il mio conto in banca, se ci provassi anche col cinema!". E in genere dicendosi queste cose pensa alla carriera di Jennifer Aniston. Ora, se il povero attore non avesse accanto a sé un agente succhia-soldi ma un vero amico, arriverebbe forse a capire che la carriera di Jennifer Aniston è una merda. Ma gli attori americani devono essere le persone più sole al mondo, ed è così che ci ritroviamo sullo schermo film come "The Roommate" e "Scusa ma mi piace tuo padre"

Ecco, qui vorrei aprire una parentesi: dovete capire che alle spalle di chi scrive ci sono anni di Gossip Girl - guardato per due uniche ragioni, fifty-fifty: Chuck Bass e gli outfit di Blair Waldorf. Per cui, si: ero consapevole che le pellicole citate si sarebbero rivelate una delusione. Ma no: ciò non è bastato a dissuadermi dallo streaming, ché magari ci scappava un cerchietto carino o una gonna di Stella McCartney. Invece niente: ho imparato a mie spese che è inutile cercare la Blair nella Leighton.
E adesso vediamo nel dettaglio come Miss Meester è riuscita a fallire tanto nel thriller quanto nel chick flick.

"The Roommate" 


Allora, l'avete visto "Inserzione pericolosa"? Non accetto "No" come risposta. L'ABC della pazzia femminile è dato dalla triade "Inserzione pericolosa" (pazzia da amica), "Attrazione fatale" (pazzia da amante) e "La mano sulla culla" (pazzia da madre). Se volete frequentare una donna e sperare di uscirne vivi, vi conviene imparare a memoria questi tre cult.
Ad ogni modo: "The Roommate" È "Inserzione pericolosa". Scena per scena: se là c'era il cane, qui c'è il gatto; se là eravamo a NY, qui siamo a L.A. E se là guardavano un bellissimo thriller, qui no.
In sintesi, Leighton è un'universitaria squilibrata che sviluppa un'ossessione verso la propria compagna di stanza, e cerca di eliminare chiunque possa ostacolare la loro amicizia. Fine. Notare la totale assenza di stile da Upper Est Side, sebbene entrambe le protagoniste studino fashion design: oltre al danno, la beffa.
 

"Scusa ma mi piace tuo padre" 
La sensazione predominante che si prova guardando questa commedia romantica è questa:


Ovvero: disagio da linguaggio cinematografico errato. Dalla trama di "Scusa ma mi piace tuo padre" poteva nascere un film drammatico da Oscar, di quelli che vi fanno piangere per ore e odiare la vita per settimane; invece è nata una commedia senza senso, che vi farà odiare la decisione di aver premuto Play.
In pratica, Leighton è l'ex miglior amica della protagonista; le due si sono allontanate crescendo, poiché l'una è timida e grassa e l'altra, appunto, è Leighton Meester. Arriviamo agli anni del college: la protagonista brutta vive ancora con i suoi, la protagonista bella torna a casa per il Ringraziamento. Rivede il padre della brutta, si innamora, lo seduce, distrugge completamente la famiglia dell'ex amica. Non c'è lieto fine. 

Ora, ditemi voi dove sarebbe la commedia. Certo è possibile, interessante e arguto, l'esperimento di prendere un dramma e raccontarlo con ironia. Se siete Woody Allen, però. Altrimenti, se state girando questo film solo perché è il momento d'oro di Blair Waldorf, sarebbe meglio restare sul tradizionale, smarmellare e sperare i fan di Gossip Girl siano così cretini da pagare il biglietto.

Ah, e naturalmente anche qui lo stylist doveva essere Bocelli: diciamo solo che mi auguro vi piacciano i maglioni monocromatici e sformati, perché per un'ora e mezzo saranno gli unici indumenti che vedrete.

martedì 2 aprile 2013

L’attesissimo ritorno di Casper Van Dien. The Pact

da: samuelsilbermann@ustalentagent.com
a: caspervandien@gmail.com
oggetto: figata!!!!!

Chi è il tuo uomo? Chi è il tuo uomo? Ma sono io Casper bello! E perché lo dico? Perché ho agguantato un copione che è fatto apposta per te. Il film si chiama “The Pact”. Roba di spiriti, donne uccise… insomma, perfetto per intortare un pubblico giovane. Io ho detto che ci avresti pensato, ma so già che mi dirai di sì, vero? 


da: caspervandien@gmail.com
a: samuelsilbermann@ustalentagent.com
oggetto: calma.

Samuel, che è ‘sta storia? Ma non dicevamo che volevamo fare Checov in qualche teatro off? Io devo dimostrare ai critici che non sono andato alla Florida State University solo per stare nelle confraternite e ubriacarmi!



da: samuelsilbermann@ustalentagent.com
a: caspervandien@gmail.com
oggetto: non facciamo cazzate.

Co’ Checov non ce pago manco una settimana di massaggiatore della mia ex moglie. E fidati che è un bellissimo progetto. Senti che trama: due sorelle tornano nella casa della loro madre in seguito alla morte di quest’ultima. La sorella maggiore arriva prima, e sparisce. Poi arriva la seconda, che in realtà manco voleva andare perché a quanto dice il copione la madre di ‘ste due era una stronza. Insieme alla cugina, che ha in affido la figlia della sorella maggiore, iniziano a cercare di capire dove s’è infilata la loro parente. Però sparisce pure la cugina. Quindi rimane lei con la nipote e col volenteroso sceriffo che indaga. E indovina un po’ chi è il volenteroso sceriffo? Indovina un po’?


da: caspervandien@gmail.com
a: samuelsilbermann@ustalentagent.com
oggetto: a me me pare ‘na stronzata.

E quindi che faccio? Il solito idiota con aria paternalista, che dice minchiate tipo “ho una figlia che ti assomiglia un sacco” per rompere il ghiaccio e stabilire un contatto con la ragazza ribelle e recalcitrante?


da: samuelsilbermann@ustalentagent.com
a: caspervandien@gmail.com
oggetto: ma che hai letto il copione?

Invece tu fai un sacco di cose: mangi il budino alla vaniglia, fai fotografie, tieni in mano una pistola… te l’’ho già detto del budino alla vaniglia? E poi all’inizio sembra la solita stronzata sulla casa posseduta, ma fidati che ci sono dei punti in cui ti spaventi sul serio, la tensione c’è. La musica, il sonoro, il montaggio… e non sono solo gli spettri a essere pericolosi. Pensa che c’è anche l’ex compagna di scuola disadattata che comunica coi morti e che parla come la rana Kermit.
Daiii, per favore. La mia ex moglie ha minacciato di iniziare pure il corso di tennis dalla prossima settimana.



da: caspervandien@gmail.com
a: samuelsilbermann@ustalentagent.com
oggetto: va bene, ma lo faccio solo per il budino.

E se poi la gente non lo guarda? E se i critici mi stroncano? E se tutti fanno raffronti con la mia intensa interpretazione di Tarzan?



da: samuelsilbermann@ustalentagent.com
a: caspervandien@gmail.com
oggetto: vedrai che a ‘sto giro il Wyoming Screen Award non te lo leva nessuno.

Ma scherzi? Sai quante trentenni sceme che si ricordano di te in Beverly Hills 90210 faranno la fila per vederti? Credimi, sarà un successo. E ti prometto che dopo questo ti faccio fare una parte in Hedda Gabler di Ibsen. Hedda, ovviamente.