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martedì 5 marzo 2013

Dopo Lost, la vita è un inferno. 666 Park Avenue.


Intendiamoci: io non sono mai stata una fan dell’isola. A metà della seconda stagione, iniziando a subodorare una certa qual presa per i fondelli da parte degli sceneggiatori, ho mollato Lost senza rimpianti. Ma naturalmente nel frattempo avevo già subito il fascino canuto e sotuttoio di John Locke.

Per cui immaginatevi la mia gioia, quando me lo sono ritrovato protagonista di una serie che addirittura SI CAPISCE. La serie in questione è 666 Park Avenue e come garanzia di qualità posso dirvi che negli USA è già stata sospesa. Considerato che la stessa sorte tocca a tutti i prodotti non troppo fatti a cazzo di cane, direi che vale la pena dargli una chance.
Trama, in sintesi: se Lost aveva posto la domanda, 666 Park Avenue ci dà la risposta. Così:

 
“Ma com’è che Locke ne sa sempre una più del diavolo?”
“Ahhh, ecco…”.

In 666 Park Avenue il nostro Terry O'Quinn si chiama Gavin Doran, per gli amici: Mefistofele. È ricco, pressoché onnipotente e proprietario di un lussuoso condominio newyorkese. Ma tranquilli, l’affitto non è un problema, nemmeno per gli inquilini con il conto sotto zero: Mr Doran infatti ai contanti preferisce l’anima.
In pratica, dall’isola-purgatorio, ritroviamo Locke nel palazzo-inferno: c’è l’aspirante giornalista che si vende in cambio del successo, l’invalida che si vende in cambio di un paio di gambe funzionanti, persino il vedovo a cui viene restituita la moglie morta. Piccolo dettaglio: lo scambio finisce sempre così: 


A contrastare la tranquilla routine del demone, entrano però in scena Henry e Jane: pezzenti anche loro, ottengono un appartamento che nemmeno Nathan Falco per il suo diciottesimo compleanno. Ma anziché starsene buona buona pensando tra sé “…Buscio de culo!!!”, Jane si insospettisce di tanta generosità e inizia a indagare sulla famiglia Doran. Mentre il fidanzato si fa spudoratamente conquistare dal diabolico padrone di casa, fino a prostrarsi ai suoi piedi tipo pelle di leone. 

Insomma, se avete visto “L’avvocato del diavolo” o “Rosemary’s Baby”, l’andazzo lo conoscete già. Quello che davvero c’è di interessante in 666 Park Avenue è tutto il contorno: le storie dei personaggi secondari e delle loro miserie. Vedere quanto in basso si possa cadere per veder realizzata un’ambizione ci fa sentire tutti persone migliori.
 
Detto ciò, se c’è qualche demone che mi legge: io mi venderei volentieri in cambio di un best-seller scritto male e in mezzora. La butto lì.
 

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