Prendete L’Avana. Ora riempitela di mostri. No, non intendo quelli che
vanno a fare turismo sessuale. Sto parlando di zombi.
Adesso aggiungete un giovane Franco Battiato, un erotomane figlio
dell’amore tra Ugo Conti e Lillo di Lillo & Greg, un Enrique Iglesias un
po’ meno tamarro, un travestito e una specie di gigantesco buttafuori che
sviene alla vista del sangue. Questa è la banda di Juan de los muertos, che per
pochi soldi vi libera dei vostri cari. Vostri cari zombi, si intende.
Prima di parlarvi del film una premessa: se volete farmi passare una
bella serata, portatemi al cinema; se volete che ci vediamo una seconda volta,
portatemi a vedere un horror; ma se volete che la serata finisca con me che vi
preparo un caffè al mattino, portatemi a vedere qualsiasi cosa abbia degli
zombi dentro. Insomma, se ci sono dei morti viventi, per me un bel 7 è il voto
da cui partire.
Quando ho finito di vedere “Juan of the dead”, ero così entusiasta che
avrei voluto prendere il regista e sceneggiatore, Alejandro Brugués, e fare
all’amore con lui. Perché qui parliamo di genio. Perché se pensi un film dove
metti gli zombi a L’Avana e fai dire a governo e media che si tratta di
dissidenti pagati dagli americani, allora sei un cazzo di genio. E basta.
La trama: i morti viventi si diffondono a Cuba. Juan e i suoi amici, abituati a campare d'espedienti, annusano la possibilità di far soldi mettendo su una piccola impresa di pulizia-morti. Tentando di non morire in corso d'opera.
Fossi in voi lo starei già scaricando, ma voglio buttarvi là qualche altro
osso.
1) Il protagonista, Juan: già in quanto eroe di un
horror deve essere maschio alfa per proteggere il gruppo; ma lui è pure latino.
In pratica alfa al quadrato. Uno che mette al primo posto per la sopravvivenza
le scorte di rum. Io lo amo.
2) China,
ossia il travestito. Sue alcune delle battute migliori, come quella al minuto
50, di fronte a un capo militare: “Quando Dio ha distribuito il cazzo, lo ha
dato tutto a lui”. Sue alcune delle uccisioni più divertenti in coppia col
buttafuori svenevole (che combatte bendato. Capite, BENDATO). E sua la
zombizzazione migliore (sì, spoiler. Tanto lo sapete che non possono
sopravvivere tutti in un horror. E China viene sostituita da Camila, figlia di
Juan, che per i 92 minuti di film ha il ruolo di quella che fa cadere
l’autostima delle spettatrici).
3) Fotografia,
effetti speciali e colonna sonora. La prima, bellissima, virata verso un caldo giallo
malato e sudaticcio; i secondi, spettacolari, con ammiccamenti a Matrix ed echi
tarantiniani; la terza, che sembra uscita da un poliziesco anni’70 e che
culmina con “My way” cantata da Sid Vicious sui titoli di coda, realizzati come
una graphic novel e con una chicca finale che giuro volevo piangere di gioia.
4) Il
titolo della pellicola. Un hommage al Maestro, una captatio benevolentiae che
non serve, ma aiuta.
5) La
brillante satira politica. Sia attraverso le battute dei personaggi, sia
attraverso varie sequenze visive, con cartelloni che inneggiano alla
rivoluzione che crollano e altre amenità. Come ho già detto qui, nella
visione illuminata del Maestro, parlare di zombi significa parlare della nostra
società, criticandola ferocemente. E Brugués ha capito la lezione.
6) Fa
ridere. Tanto.
7) La perla. La morte al minuto 82. Come ben
sapete, per uccidere gli zombi bisogna mirare al “cervello”. Diciamo solo che
ci sono diverse strade per arrivarci. E che qui hanno scelto la più lunga.
Bene, io ho finito. E adesso scusatemi, ma Alejandro reclama il suo
caffè.
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