Tanto per iniziare bene, vi butto lì tre-quattro ragioni per
cui questa “commedia” ridurrà il vostro bel faccino a un ammasso informe di
lacrime, occhi gonfi e naso da Rudolf La Renna:
- Brittany Murphy qui era giovane, bellissima e
ora è morta;
- Dakota Fanning ora è il sex symbol della
comunità indie, ma voi siete così vecchi da ricordarvela com’era in questo
film;
- nella storia – e nel nome - di Molly non potrete
non cogliere riferimenti a Frances Bean Cobain e al suo defunto padre (e se non
li cogliete, tranquilli: tornate pure ad ascoltare Gigi D’Alessio, qui per voi non
c’è niente da vedere);
- bramerete disperatamente la casa di Molly – che
trasuda “Live through this” in ogni cm quadro – ma non potrete mai
permettervela.
Ora che ho messo le mani avanti, facciamo un passo indietro.
“Uptown Girls” è molto più di una canzone dei Westlife (e non
fate quelle facce: lo so, che la conoscete anche voi). È una piccola, strana e pressoché sconosciuta
perla nell’oceano del chick flick. Con una colonna sonora di tutto rispetto,
tra l’altro. In sintesi, è il film che potrebbe girare Sofia Coppola se non fosse
una figlia di papà che non ha alcun bisogno di girare film commerciali. Pretenziosa
figlia d’arte che non è altro. La amo poi la odio poi la apprezzo.
Ma torniamo a noi: Brittany Murphy. Probabilmente i più la
ricordano solo per “Ragazze a Beverly Hills”. Ovvero così:
Ecco, questa sfortunata e bravissima attrice merita
di essere commemorata meglio. Perciò guardatevi “Uptown Girls” e preparatevi ad
ammirare il Before-After più riuscito della storia.
Qui Brittany ci racconta la storia di Molly, ricca erede di
rockstar tragicamente scomparsa. La sua vita si divide bellamente tra feste,
amori disgraziati e dolce far niente, finché una truffa le fa perdere tutto:
casa, soldi e persino le chitarre del padre. Così per sopravvivere Molly si
ritrova a dover fare una cosa orribile: lavorare. Nello specifico, lavorare
come baby sitter di Dakota Fanning.
E qui vorrei sottolineare che in questo
film Dakota Fanning era ancora in età da baby sitter. Era il 2003. Dieci anni
fa. E voi eravate già adulti. Piangete con me.
E niente, come prevedibile lo scontro con la dura realtà
farà maturare la nostra protagonista, che in Dakota rivedrà se stessa e la
famiglia che non ha mai avuto ecc. ecc.
La trama certo non brilla per originalità, ma è messa giù in
modo così – dio mi perdoni per il termine che sto per usare – cute, da risultare adorabile.
Sempre che siate cresciute ascoltando le Hole e sognando di
essere Lux Lisbon, ovvio.
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