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martedì 26 febbraio 2013

Quando muore un amore. Blue Valentine.

 
Zia Irma, la sorella di nonna Adele, oltre a essere cuoca di pregevolissima fattura è una grandissima esperta di proverbi. Nel corso degli anni me ne ha detti molti, il mio preferito è sicuramente “certi amici sono come i fagioli, parlano di dietro”. Quello che userò per introdurre il film di oggi è: “chi piglia moglie piglia guai, cominciano il primo giorno e non finiscono mai”.
Il problema non è tanto il matrimonio, quanto l’amore in sé. Non fosse sufficiente la saggezza popolare, basta guardare quante canzoni che parlano di rottura, perdono, tradimento e altre brutte cose ci sono, rispetto a canzoni che dicono “oh che bello quanto ti amo quanto ti amo oh che bello”. Non siete convinti? Ok, pensate alla vostra vita e al numero di relazioni che avete avuto. Fino a prova contraria, l’unica storia che ha funzionato è quella in corso, quella non ancora finita insomma. È la matematica, bellezze.
Se fossi una persona profonda, direi che l’amore è l’errore che continuiamo a ripetere. Ed è un errore anche quando si presente con le mirabili fattezze di Ryan Gosling e Michelle Williams.
Ryan e Michelle interpretano – benissimo – Dean e Cindy, marito e moglie. Sono due persone normali, lei fa l’infermiera e lui l’imbianchino, hanno una figlia di circa sei anni. Nel film vediamo un ping pong tra l’inizio e la fine della loro storia. Sì, la fine. Non ditemi che pensavate avesse un finale rose e fiori. Blue Valentine. Blue. Mica happy o joyful.
Quello che il titolo non dice è quanto sia bello. Ci sono film che ispirano, che divertono, che fanno riflettere, che smuovono le coscienze… “Blue Valentine” non fa nulla di tutti ciò. Ma descrive perfettamente. Anzi, fotografa. E riuscire a fotografare 6 miliardi di persone, tutte insieme, non è una stronzata. Perché ha dentro tutto quello che c’è nella vita di un amore.
“Blue Valentine” non ha due protagonisti che fanno mestieri fighi. O che invecchiano e rimangono belli. Non ci sono appartamenti da rivista e serate passate in locali modaioli. Non è neppure il primo film che ci racconta – e brutalmente – quanto possa sputtanarsi una storia, sennò “Closer” che l’hanno girato a fare? Solo che in “Closer” la brutalità era quella delle parole. Qui invece è il dolore a essere violento: il dolore che vediamo sullo schermo, ma soprattutto il dolore di riconoscersi.
Guardi il film, e non vedi Dean e Cindy, ma te e i tuoi fallimenti, e intanto pensi come è possibile, ogni volta, che tutto finisca così. Come è possibile che all’inizio vi guardavate per ore, fino al momento prima di addormentarvi, e adesso la mattina neanche riuscite a salutarvi quando dovete uscire di casa. O che il desiderio che vi faceva stoppare il film ai titoli di testa sia stato sostituito dalla repulsione fisica. Quando quella risata particolare che vi ha fatto innamorare è diventata così insopportabile? Quando siete arrivati a non voler neppure più respirare l’aria che respira quella persona?
C’era tutto quell’amore, come abbiamo potuto permettere che la vita ce ne mangiasse ogni pezzo? Come si fa a farsi sconfiggere dalla noia, le bollette, dalla rinuncia alle ambizioni, portare i figli a nuoto e andarli a riprendere, fare la spesa “ma perché mi hai preso questo shampoo, ti avevo detto quell’altra marca”, i “però la spazzatura la butto sempre io”?
Gli amori sono come le civiltà: c’è la fase di conquista, in cui ti impegni come un matto perché quel territorio deve essere tuo; poi la civiltà si stabilizza, ed è l’età dell’oro, e sembra che non debba finire mai; e poi arriva lui, il declino. E a quel punto sei solo storia.

PS: un ultima cosa. Nel film, c’è una scena di – OMMEODDEO – cunnilingus. Ed è successa questa cosa che leggete qua sotto.
 
Fonte: Wikipedia.
 E niente, poi ancora ci chiedono perché amiamo Ryan Gosling.



lunedì 10 settembre 2012

Ryan Gosling mezzo nudo! Crazy, stupid, love.


1,618 è un numero che indica una proporzione, comunemente detta “proporzione divina”, perché in natura si trova in talmente tanti casi che sembra quasi che dietro ci sia la mano di un essere superiore. Imparatelo, perché lo ripeterete spesso durante la visione di “Crazy, stupid, love”.
Perché “Crazy, stupid, love” è un film che, ovviamente, parla d’amore. Con Ryan Gosling. RYAN GOSLING.

Bravi, vedo che avete capito il nesso. Ora, io credo che Dio o chi per lui, quando si è messo a fabbricare Ryanuccio, abbia chiamato Einstein, Majorana e Nash, perché quella proporzione gli è uscita così bene che non può aver fatto tutto da solo. Per capire la mia reazione quando lo vedo, guardate qui e immaginate Ryan al posto dello scoiattolo.
Comunque, passiamo al film. Steve Carrell, il protagonista, ha una bella famiglia con la bella Julianne Moore, un bel lavoro, una bella casetta. Il classico americano da sobborgo insomma. Un giorno lei si rompe le palle, lo tradisce e chiede il divorzio. Quindi Steve, aka Cal, torna sul mercato. Cioè, ci prova. Perché Cal è tremendo, elegante quanto un centrino all’uncinetto sulla spalliera di un divano e incapace di flirtare. E qui entra in campo Sua Fighezza Reale. Che lo incontra in un bar, prova pena e decide di istruirlo e fargli riacquistare il suo mojo. Perché Ryan, ovviamente, è un esperto del gentil sesso. Tanta pratica. Fino a quando non incontra Hannah, che incarna il sogno di ogni donna, ossia essere “Quella che lo cambia”, quella additata nelle conversazioni tra donne come “puttana maledetta perché lei sì e noi no”, quella che prima di lei era una testa di cazzo di proporzioni elefantiache e ora le compra gli assorbenti al supermercato mentre accarezza gattini guardando foto di neonati. Insomma, nel film seguiamo le evoluzioni comportamentali di Cal e Ryan.
Quando, circa al minuto 01:08:41 vedrete il torace di Ryan in tutto il suo tramortente, sfacciatissimo, devastante splendore (non lo guardate adesso! Non guardate vi dico, che sennò smetterete di fare qualunque cosa stiate facendo, e se state reggendo la mano di una persona sospesa da un cornicione o montando la maionese non sarà bello), dicevo in quel momento sentirete un violento singhiozzare. Non vi preoccupate, è normale, è solo la vostra vagina che si dispera perché si rende conto che purtroppo non avrà mai a che fare con quell’uomo. Calmatela spiegandole che singhiozzare rumorosamente è molto meno charmant che farsi rotolare le lacrime sulle guance in silenzio, e riprendete la visione.
Se non ritenete Gosling un motivo sufficiente per guardare il film perché siete come quelle persone tristi che nascondono le rivistacce porno dentro “Confidenze” e avete bisogno di una giustificazione al provare piacere, vi do qualche altro motivo: 

-       È un film che piace anche ai maschi. L’ho testato per voi, e state tranquille che, seduti accanto a voi sul divano, vedranno tutto il film senza provare il potente desiderio di percuotervi a morte col vostro thermos di Hello Kitty.
-       Fa ridere. E ridere è importante, perché quando torni a casa la sera distrutto e con la voglia di svagarti, non dici “Toh, fammi vedere Dogville che me faccio du’ risate”. Non fraintendetemi, Dogville è bellissimo, ma è più per quei momenti tipo “fammi godere vedendo cosa farei a quella troia che ci prova col mio ragazzo se solo vivessimo in uno di quei paesi illuminati dove l’omicidio viene punito con un ganascino”.
-       Le prove degli attori. Tutti, da Carrell, alla Moore, alla Tomei, interpreSCOIATTOLO!