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lunedì 10 giugno 2013

"Thank you for being so not italian". The Butterfly Room.


Immaginate di presentarvi a un appuntamento al buio, ok? Siete reduci da mesi di delusioni, grandi aspettative che sfociano immancabilmente nel fail, amori storici che non sapete più come giustificare nemmeno a voi stessi. Insomma, a questo  incontro a scatola chiusa ci arrivate comprensibilmente già con il cinismo a fior di labbra.
E invece vi trovate davanti Megan Fox: una Megan Fox che si rivela esteticamente perfetta già dal primo frame. Che in più sfoggia una sceneggiatura degna di quei pervertiti degli asiatici. E un citazionismo horror che vi emoziona tanto da farvi perdere per strada la metafora.


Questo è "The Butterfly Room": l'ultima opera dell'italianissimo (ho controllato tre volte, non ci potevo credere) Gionata Zarantonelloun fiore cresciuto sull'asfalto e sul cemento, tanto per riabbassare subito il livello del discorso.
Zarantonello sembra mettere le mani avanti già con la scelta del cast: una specie di Trivial horror che vi farà saltellare come groupie, se avete sui 30 anni e amate il genere.
E se invece vi lascia indifferenti…gesù, che triste adolescenza avete avuto.
C'è chi ha ucciso Laura Palmer, c'è la Nancy di Freddy Krueger, c'è la Jennifer che non andava violentata, c'è persino un cameo del papà dei Gremlins.
E, su tutti loro, regna Barbara Steele alias Ann.


Ann è una signora d'altri tempi: elegante, posata, introversa. Che nel tempo libero coltiva in egual misura entomologia e rapporti morbosi con ragazzine preadolescenti.
Hobby diversi, che mirano allo stesso obiettivo: imprigionare la bellezza e legarla a sé per sempre.
Ma no, non stiamo parlando di una milf promiscua e particolarmente intraprendete: quello che Ann vuole - o piuttosto pretende - è esclusivamente affetto. Quell'affetto assoluto e bisognoso che ogni bambino nutre per chi lo accudisce. Perché col cavolo che di mamma ce n'è una sola: se Ann decide che sei figlia sua, non c'è proverbio che tenga.
E così, attraverso un montaggio in stile "Memento", oscilliamo di continuo tra passato e presente per arrivare a conoscere tutte le vittime dell'ossessione di Ann: Dorothy, Alice e Julie. Chi si salva e ci lascia le penne, lo scopriremo solo più avanti.


Tutta la faccenda, già abbastanza malata di suo, si fa ancora più ambigua grazie alla figura di Alice - unica ragazzina che, nell'ossessione di Ann, non gioca tanto il ruolo di vittima quanto quello di complice.
Alice, infatti, lo fa un po' di mestiere: è una specie di escort che vende affetto a tempo determinato a madri rimaste sole. Ed è proprio lei ad adescare la sua carnefice, con tutta malvagità che solo i marmocchi sanno avere. 
Sorriderà ancora per poco.
La disperazione femminile in ogni sfaccettatura, insomma: questo sembra essere il vero topic del film. Tant'è che nella famosa stanza delle farfalle non entriamo se non sul finale; e anche se sappiamo benissimo che dentro non ci troveremo solo insetti sotto vetro, la scena fa comunque la sua porca figura.
Mettiamola così: la prossima volta che userete il classico "Sali a vedere la mia collezione di farfalle?", non stupitevi se anziché un garbato rifiuto riceverete un'ordinanza restrittiva.



martedì 4 giugno 2013

Shoes I’d Like to Fuck. 20 anni di meno.


Mia madre, oltre a sapere i nomi dei colori più assurdi – tipo il color avio e pervinca – e a fare la parmigiana di melanzane migliore del pianeta, conosce tutta una serie di massime che mi ha gentilmente passato: “sette ore un corpo, otto ore un porco”, “defecatio matutina bona quam medicina, defecatio meridiana neque bona neque sana” e la mia preferita, “fritta è buona anche la merda”.
Ecco, vorrei soffermarmi sull’ultima, e adattarla al film di oggi. Un film francese. Ambientato a Parigi. Con la moda e le riviste di moda francesi. Insomma, la Francia è il fritto. Che si tratti di dolcetti, moda, festival del cinema, Oltralpe fanno bene quasi tutto: si pigliano una modella umbra dall’accento marcato e la trasformano in diva internazionale. Si accattano una piemontese gonfia di botox, che potrebbe tenere corsi di laurea su “Come darla via traendone un profitto che manco il PIL di un piccolo paradiso fiscale”, e la trasformano in Première Dame. Ci liberano di attori diventati famosi per pubblicità di gelati bi-gusto, che si innamorano di francesi dai denti storti e si trasferiscono in un lampo a Parigi, liberando il suolo patrio della loro presenza.
I cugini sanno fare pure le commedie leggere, tipo “Una cena tra amici”, tanto per dirne una. E tipo “20 anni di meno”.
In sostanza. Prendete una trentottenne Kate Moss un po’ più alta, e fatele avere la vita dei sogni di tutte noi: ex marito rock-star genere Gainsbourg, lavoro come direttrice di affermata rivista di moda, appartamento gigante nel – a occhio – sesto arrondissement; guardaroba strepitoso e fisico per portarlo. Insomma, una che odiereste, se non fosse che è una poraccia che non fa altro che lavorare come una stagista di un’agenzia di pubblicità, senza l’ombra di una relazione e che deve pure sopportare i tentativi della sorella di farla accoppiare con brutti ginecologi. Come se non bastasse, una nuova collega, molto più giovane, tenta in tutti i modi di farle le scarpe, e anche con buoni risultati.
Perché mai un ventenne dovrebbe volersi fare una così?
Alla nostra Katè non rimane che approfittare di un equivoco e fingere di essere una milf che farebbe impallidire tutte le mamme di Stiffler che imparano quanto possano essere divertenti le nuove tecnologie caricando i loro video su youporn.
Quindi, mentre noi ammiriamo scarpe e vestiti che non potremo mai permetterci, lei si innamora del suo giovanissimo finto-poi-vero-amante, che ha – indovinate un po’ – 20 anni in meno, rivoluziona la sua vita, viene licenziata e scrive un libro.
E qui potremmo fare tutto un discorsone sul fato, sui piccoli fatti che cambiano il corso di una vita e sull’ineluttabilità del destino, su come, da tipico schema proppiano, la mediazione porti poi al consenso e alla ribellione dell’eroe, e via così fino a ristabilire un nuovo equilibrio. 
20 anni di meno. Locandina alternativa.
Potremmo. Ma non ci serve mica Propp per capire che questo film è praticamente una favoletta. Però è una favoletta con i titoli di testa fatti come le copertine delle riviste di moda, le louboutin e un giovane protagonisti che, come anni di attori francesi ci hanno insegnato, non è bello ma ha fascino. E le louboutin, lo so che l’ho già detto, ma voglio ribadirlo, perché “cosa sono la fotografia, la trama e la recitazione quando in cambio ti danno le scarpe”.