Vi racconterò una storia, miei giovani lettori.
Anni e anni or sono, ci fu un tempo - una sorta di Età
dell’Oro - in cui la gente non faceva/ascoltava/mangiava/guardava cose solo
perché farlo era cool. Bensì,
mirabile dictu, semplicemente perché amava farle. E viceversa: in questo tempo
remoto, nessuno si asteneva dal fare/ascoltare/mangiare/guardare qualcosa solo
perché quel qualcosa era troppo mainstream.
No: in quell’epoca favolosa, le cose ti piacevano o ti facevano cagare per davvero.
Questo tempo incantato, amici miei, è noto ai posteri come “Gli Anni ’90”.
Questo tempo incantato, amici miei, è noto ai posteri come “Gli Anni ’90”.
E nel pieno degli Anni ’90, io ero bimbetta che giocava con
le Barbie e studiava sul sussidiario. Lynch, non sapevo nemmeno chi fosse.
(Giustamente, che diamine. Già ero precocemente rovinata dalla filmografia di
Dario Argento, a tutto c’è un limite.) Né avevo la più pallida idea del fatto
che un giorno sarei stata considerata intelligente, se avessi apprezzato (o
anche solo capito) i suoi film. Quello
che sapevo, negli anni ’90, era che quando dalla TV partiva quella musichetta inquietante, era ora di scappare più lontano possibile e cercare di
dimenticarla in fretta. Perché ero una bambina, una bambina genuina - tonta - come solo quelle degli anni ’90
sapevano essere. E non avevo alcuna remora a manifestare disgusto per qualcosa
che effettivamente mi faceva cagare sotto.
Ecco, ai trentenni intellettuali dell’ultim’ora, che oggi dichiarano
di essere cresciuti guardando Twin Peaks, io vorrei chiedere questo: di non
dire stronzate. Voi, Twin Peaks ve lo siete guardato a 20 anni scaricato da
Emule, proprio come me. E allora, e solo allora, avete potuto apprezzarlo. Ma
negli anni ’90, quando bastava accendere la TV per trovarsi faccia a faccia con
Bob, voi correvate tra le braccia della mamma piangendo, altro che “surrealismo
Lynchiano”.
Tuttavia, e ora arrivo al punto, posso capire il vostro
disagio: trattasi della classica sindrome
“Oddio-potevo-vivere-un-pezzo-di-storia-e-ho-sprecato-l’occasione”. Dev’essere
così, che si sentono i nostri fratelli maggiori mai andati a un live dei
Nirvana.
Ma ecco la buona notizia: oggi, coetanei miei, possiamo
recuperare. Oggi, da adulti, possiamo goderci senza traumi e con tempismo il
NUOVO Twin Peaks. Alias, American Horror Story.
E se finora l’ho tirata tanto per le lunghe non è perché
oggi sono particolarmente acida – anche –
ma è stato per farvi capire l’importanza storica di questa serie. E per
farvi capire che no, non potete proprio perdervela. Accendete subito il vostro
Mac, che lo so che siete gentaglia da Apple, e via con lo streaming la
visione assolutamente legale del suddetto telefilm.
Per chi non lo stesse ancora
guardando – muovetevi! – spenderò due parole sulla trama.
Coppia in crisi (aborto spontaneo
di lei, tradimento di lui) tenta la via del “Casa nuova, vita nuova”. E si
trasferisce in questa mega villa, con figlia adolescente al seguito. Dopo
pochissimo però si inizia a sentire puzza di zolfo: più o meno da quando appare
in scena l’inquietante vicina – una Jessica Lange a dir poco sublime – e la di
lei figlia, afflitta da sindrome di Down. Viene così fuori che quella villa è
più letale della videocassetta di The Ring, e che da decenni chiunque ci abbia
vissuto ha fatto una fine a dir poco spiacevole.
Insomma: nel giro di qualche
settimana non si capisce più nemmeno chi è essere umano, fantasma o
allucinazione. Non posso dire altro.
Anzi, solo un’ultima cosa: se
nessuna delle mie argomentazioni vi ha scosso finora, ecco, vorrei tentare due
mosse sleali. Queste: