Ogni
volta che penso al modo in cui potrei suicidarmi, faccio sempre le stesse
considerazioni: la lametta no, mi fa impressione; il colpo in testa neppure,
non avrei il coraggio di premere il grilletto; gas no, non voglio uccidere
anche altri; impiccarsi neanche, già devo morire, almeno che sia semplice e
rapido; l’unica sarebbero i barbiturici, così me ne andrei nel sonno. Ora. Io
non sono pazza. Ma, ogni volta che vedo uno zombi-movie, mi identifico nei
protagonisti, e siccome so che non potrei mai affrontare l’ansia, tutto quel
sudore e la fatica di fuggire – per andare dove poi, visto che tutto il mondo è
infetto – ogni volta rifletto su come la farei finita. Dato che qui parliamo
del capolavoro totale degli zombi-movie, immaginate il mio istinto di sopravvivenza
che alza le braccia, mentre il cervello inizia a vagliare le farmacie
compiacenti. Perché gli zombi hanno una fame che solo una donna può capire: pensate
di fare la prima fase della Dukan da quando siete nate, e che a un certo punto
il vostro metabolismo inizi a bruciare qualsiasi cosa – qualsiasi – e voi vi
ritroviate a passeggiare in un mondo fatto di carboidrati. Ecco.
Signori.
Zombi di Romero mi commuove per la sua bellezza. Qua non siamo più nel campo
dell’horror, qua volteggiamo proprio nei massimi sistemi. Tra le correnti
filosofiche del ‘900 dovrebbe esserci il Romerismo. Prima due parole sulla
trama: per un motivo a noi sconosciuto, i morti tornano sulla terra come zombi.
E sono un casino. I 4 protagonisti – un’assistente di studio, un pilota di
elicotteri e 2 SWAT che le circostanze portano a far gruppo – decidono di
fuggire a bordo dell’elicottero. Nel cercare rifornimenti, capitano in un
centro commerciale infestato da zombi.
“I
have this device, or conceit, where something happens in the world and I can
say, 'Ooo, I'll talk about that, and I can throw zombies in it! And get it
made!'”. Capite il genio del Maestro? Qui non si tratta più di farci fare un
salto sulla sedia, ma di far fare un salto al nostro cervello. Perché Romero ne
ha per tutti. Ce l’ha con la fede e i culti (v. il dibattito con cui inizia il
film, o i latinos che non vogliono consegnare i morti a causa dei loro riti di
sepoltura o lo zombi-hare krishna); ce l’ha con i media (il capo del network
vuole che i dipendenti continuino a fare servizi a scapito della loro
sicurezza); ce l’ha con le forze armate; con l’americano medio (guardate la
scena in cui dei redneck sparano agli zombi come se fossero lattine di birra su
uno steccato).
Ma
soprattutto ce l’ha con capitalismo e consumismo: gli zombi tornano nel centro
commerciale perché, come dice uno dei protagonisti, per loro quel luogo era
importante. Gli zombi non hanno cervello. Eppure sentono l’impulso
all’acquisto. In pratica ci dice, e manco troppo tra le righe, che siamo zombi
anche da vivi. Ma il genio continua: usare la musichetta-carillon dei centri
commerciali mentre ci fa vedere i morti viventi che divorano i corpi (per
inciso, la musica è curata dai Goblin e Dario Argento, mica cazzi); mostrare
come gli zombi siano candidati perfetti per i Darwin Awards (minuto 28 della
extended version, che è quella che dovete assolutamente procurarvi);
scritturare Billy Corgan prima ancora degli autori di Super Vicky (minuto 29:09)
(Billy è del 1967, il film del 1978. Lo dico così evitiamo commenti scemi).
La
cosa più stupefacente, per come la vedo io, è che i mostri principali del
genere horror, ossia zombi e vampiri, altro non sono che degenerazioni di
sistemi politici: una massa ignorante che pensa solo a soddisfare i suoi
istinti in un caso, e i pochi fortunati che campano sulle spalle del popolo
nell’altro. E in Zombi la critica socio-culturale è persino più feroce dei
mostri stessi.
Purtroppo
gli studios non hanno lasciato girare al Maestro il finale che aveva in mente
(lo trovate su wiki), di un nichilismo tale da far sembrare Nietzsche il figlio
di Heidi e Tonino Guerra. Ma non mi lamento. Sarebbe come snobbare la Gioconda
perché non vi piace la cornice.
Guardatelo.
E poi ditemi se siete team-gas o team-lametta.
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